In questa guida parleremo dei prestiti bancari richiesti da imprese che già operano sul mercato e che, per ragioni varie, come la necessità di espandere l’attività, far fronte a momentanee difficoltà finanziarie indotte da eventi a volte estranei all’attività stessa (per esempio il lockdown che sta accompagnando la diffusione del Covid), o anche introdurre modalità innovative nel prodotto o nel processo produttivo, hanno bisogno di incrementare le proprie risorse finanziarie.
Non parleremo, invece, delle richieste di prestiti bancari da parte di quanti, specialmente giovani, hanno un’idea di business interessante e vogliono metterla in pratica. Per le modalità di finanziamento per imprese e startup in via di costituzione, infatti, abbiamo redatto una guida dedicata.
Finanziamenti alle imprese: come funzionava
L’accesso al credito bancario per le imprese, fino a qualche anno fa, si basava essenzialmente sul rapporto di fiducia tra l’imprenditore e la propria filiale bancaria, specialmente il suo Direttore o il Funzionario addetto ai fidi.
La concessione del prestito era determinata, in massima parte, dalla conoscenza personale che il Direttore di filiale aveva dell’imprenditore e che riguardava non solo la situazione finanziaria e patrimoniale dell’impresa del titolare, ma anche la storia personale dell’imprenditore, la sua capacità di rimborsare prestiti precedentemente ottenuti, l’abilità nel gestire l'azienda anche nei momenti di crisi, talvolta anche l’ambiente familiare e culturale.
A queste informazioni si sommava, infine, una buona dose di fiuto del funzionario di banca nel percepire la validità delle motivazioni della richiesta di prestito e la conoscenza dell’andamento generale del settore in cui l’impresa operava.
Tutto questo è stato spazzato via da nuove stringenti regole sull’erogazione dei prestiti bancari introdotte a partire dal 2008.
La crisi finanziaria del 2008 infatti, innescata negli USA dalla spaventosa bolla finanziaria sviluppatasi nel mercato immobiliare statunitense (poi estesa anche ad alcuni Paesi europei come Spagna, Irlanda, Portogallo, Grecia e Italia) e la conseguente recessione economica che si è successivamente estesa, come una pandemia, in tutto il mondo occidentale, ha costretto le autorità di vigilanza e di regolamentazione nazionali e sovranazionali a varare nuove rigorose regole sulla concessione dei finanziamenti bancari.
La crisi, infatti, era stata causata da una eccessiva de-regolamentazione che, applicata al mercato immobiliare, aveva permesso la concessione di migliaia di mutui cosiddetti subprime, elargiti a soggetti privi dei tradizionali requisiti di garanzia ovvero clienti “ad alto rischio”, con storie creditizie caratterizzate da inadempimenti, pignoramenti e simili.
Tali prestiti erano concessi a tassi variabili (normalmente più bassi di quelli fissi) il cui aumento, alle prime avvisaglie della crisi, insieme alla crescita dei nuclei familiari sotto la soglia di sussistenza, determinò l'insolvenza di migliaia di essi, con il conseguente scoppio della bolla e il venire meno di liquidità nel sistema bancario.
Tutto questo in un ambiente economico in costante fluttuazione e con il debito dei consumatori in perenne crescita.
Tale comportamento bancario, che si è dimostrato disastroso per le sorti dell’economia globale, era sostanzialmente basato sulla convinzione che la recessione fosse un concetto ormai superato e lontano nel tempo, ed era quindi accompagnato da un altissimo grado di fiducia nell’economia e, purtroppo, anche avallato da importanti agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poor’s (il cui compito è quello di assegnare un giudizio di rischio dei titoli derivati emessi dalle banche) che definivano come sicuri anche i prodotti composti dai mutui subprime.
È vero che i mutui subprime erano garantiti da ipoteca sulla casa acquistata, ma è comprensibile che l’immissione contemporanea su un mercato immobiliare, privo di liquidità, di migliaia di appartamenti ha di fatto reso inservibili le garanzie, pertanto le banche hanno semplicemente perso i loro soldi. Molti soldi.
Finanziamenti alle imprese: come funziona oggi
La crisi economica del 2008 rappresenta uno spartiacque nella storia economica, sociale e politica del mondo occidentale. Il 15 settembre 2008, la notizia del fallimento della Lehman Brothers e del conseguente collasso della borsa statunitense, rese evidente la fragilità del sistema creditizio mondiale.
Le autorità sovranazionali furono perciò costrette a redigere regole rigidissime (definite negli accordi di Basilea 3) alle quali le banche devono attenersi nell’erogare prestiti alle imprese.
La finalità primaria di tale regolamentazione è quella di garantire una maggiore solidità ed efficienza del sistema bancario mondiale mediante un incremento del patrimonio delle banche in funzione della propria esposizione verso impieghi rischiosi.
In breve, le banche sono adesso obbligate ad accantonare a titolo prudenziale, per ogni prestito erogato, delle quote minime di capitale per far fronte alla copertura delle perdite su una parte dei finanziamenti concessi. Pertanto, debbono valutare in maniera approfondita, per ciascun cliente, il rischio di finanziamento, abbandonando per sempre i metodi approssimativi che avevano caratterizzato l’attività bancaria nei decenni precedenti.
La domanda resta la stessa: “l’impresa sarà in grado di restituire la somma presa in prestito?” ma la risposta adesso dipende da sofisticati sistemi statistico-matematici (in cui informatica e intelligenza artificiale si combinano con specifiche competenze dei funzionari di banca) che, basandosi su una serie di analisi economiche, finanziarie e patrimoniali, sono in grado di misurare la capacità di un’azienda di generare flussi di cassa futuri sufficienti a restituire il prestito aziendale, oltre a calcolare il rischio di insolvenza dell’azienda e l’eventuale perdita attesa.
In pratica la banca dà un voto all’azienda, il cosiddetto rating bancario.
Il rating bancario aziendale rappresenta una valutazione sintetica del profilo di rischio dell’impresa, è suddiviso in classi ed esprime il grado di solvibilità della stessa e la capacità di ripagare il finanziamento in un determinato arco temporale.
Ad ogni classe di rating corrisponde un livello di pricing coerente con la maggiore o minore rischiosità dell’impresa. A titolo di esempio, alcune banche adottano modelli (che debbono essere preventivamente approvati dalla Banca d’Italia) che identificano le classi di rischio utilizzando una scala numerica (da 1 a 10).
Un rating non sufficiente diventa preclusivo per l’accesso al credito. Esso, inoltre, è vincolante per l’istituto di credito anche dopo aver concesso il finanziamento.
Infatti, in caso di peggioramento del rating di un’azienda già affidata, con particolare riferimento agli affidamenti cosiddetti a revoca o temporanei (cioè con scadenze a breve termine) la banca, per proteggere il proprio credito, spesso avanza una richiesta di rientro dell’esposizione finanziaria, creando situazioni economiche talvolta difficili, se non drammatiche, per l’impresa.
Ottenere un prestito: il merito creditizio
Dal rating bancario dipende il cosiddetto merito creditizio, che rappresenta una sintesi del livello di indebitamento, dei flussi di reddito e della solvibilità del cliente.
Oltre che per decidere la concedibilità del mutuo, il merito creditizio rappresenta anche, come si è visto, un parametro per definire il costo del finanziamento ovvero il tasso di interesse da applicare al mutuo: a maggior rischio (scarsa solubilità, incertezza del flusso di reddito, elevato indebitamento complessivo) corrisponde un maggior tasso e viceversa.
Questo avviene perché a un impiego ad alto rischio deve corrispondere, da parte della banca, un maggior accantonamento di capitali, previsto dagli accordi di Basilea 3 per far fronte ai prestiti che vanno in sofferenza, che rappresenta, ovviamente, un costo da remunerare.
Va, a questo punto, sottolineata la persistenza di una diffusa mancanza di consapevolezza, da parte delle imprese, circa le informazioni che indirizzano le decisioni assunte dagli istituti di credito.
Sapere, invece, sulla base di quale metodologia la banca decide se accordare o meno un prestito, è di fondamentale importanza per un imprenditore al fine di negoziare convenientemente un finanziamento aziendale e ridurre il costo dell’indebitamento.
Come ottenere un rating bancario favorevole?
Sono definitivamente tramontati i tempi in cui le imprese, attraverso artifici contabili presenti nei bilanci d’esercizio, tentavano di incrementare le possibilità di accesso al credito (talvolta riuscendoci, specie in presenza di funzionari bancari compiacenti, che però hanno fatto la storia di tanti recenti default bancari).
Le aree da tenere sotto controllo, ed ove eventualmente intervenire se possibile, sono sostanzialmente tre.
La prima riguarda la storia dell’impresa, ovvero il comportamento tenuto in passato verso l’intero sistema bancario. Se l’immagine dell’azienda è “sporcata” da episodi di insolvenze, ritardati pagamenti, mancato assolvimento degli obblighi fiscali e/o contributivi o, addirittura, fallimenti, la possibilità di ottenere un prestito resta alquanto remota.
Il Rating bancario e le informazioni contenute nella Centrale Rischi della Banca d’Italia rappresentano due elementi chiave per definire l’affidabilità aziendale all’interno del processo di concessione di un finanziamento bancario.
Si tratta di informazioni a cui l’imprenditore può e deve accedere al fine di conoscere com’è rappresentata la propria azienda presso il sistema bancario e valutare, a priori, la propria possibilità di accesso al credito.
A tal proposito va sottolineato che l’impresa ha diritto di conoscere il rating attribuitole dalla propria banca.
La Centrale Rischi è una banca dati che raccoglie tutte le informazioni relative ai debiti che le imprese (e le persone fisiche) detengono nei confronti di banche e società finanziarie. Si tratta di informazioni costantemente aggiornate perché basate su flussi mensili scambiati tra il sistema bancario e la Banca d’Italia.
L’accesso alla Centrale dei Rischi è facile e gratuito.
La seconda area di conoscenza è l’analisi quantitativa che descrive lo stato di salute dell’impresa. Si tratta di elementi numerici, estrapolati dal bilancio aziendale, come fatturato, redditività, investimenti, produttività, grafici del loro andamento nel tempo e tutta una serie di indici sintetici che combinando variamente questi dati focalizzano aspetti magari parziali dell’attività ma che, nell’insieme, sono in grado di comporre un puzzle che contiene l’identikit dell’azienda.
Tra gli indici maggiormente utilizzati si citano, a titolo di esempio:
- ROE - Return on equity (indica la redditività del patrimonio netto, ovvero il ritorno economico dell’investimento effettuato dai soci dell’azienda)
- ROI - Return on investment (misura la redditività operativa dell’azienda, in rapporto ai mezzi finanziari impiegati)
- ROS - Return on sales (misura la redditività del fatturato)
- MOL - Margine operativo lordo (ovvero risultato operativo prima degli ammortamenti)
- Oneri finanziari su fatturato (misura l’incidenza del costo dell’indebitamento finanziario sul volume di affari)
- Indipendenza finanziaria (determinata in termini di rapporto tra il capitale proprio ed il totale dell’attivo dello stato patrimoniale, indica il grado di solidità patrimoniale dell’azienda).
A queste informazioni, che definiscono l’analisi quantitativa interna, si aggiungono altre informazioni che raccontando la “storia creditizia” dell’impresa. A titolo di esempio si citano:
- frequenza, durata, e ammontare di sconfinamenti (ovvero saldi oltre il limite concesso)
- puntualità nel rimborso di finanziamenti a m.l.t.
- elasticità di utilizzo di affidamenti di cassa
- grado di saturazione delle linee di credito accordate
- livelli di insolvenza manifestati dal portafoglio commerciale
- riserva di credito disponibile.
Le banche sono tenute ad inviare periodicamente alla Centrale dei Rischi il flusso di tali dati che, pertanto, diventano disponibili da parte del sistema bancario.
Resta la parte forse più difficile: l’analisi qualitativa. Si tratta di informazioni che esulano dai dati contabili. Non sono, quindi, una semplice elencazione dei dati forniti dall’analisi del bilancio aziendale, ma riguardano invece, in prevalenza, la formula competitiva dell’impresa e il contesto globale in cui opera.
A titolo di esempio si citano le seguenti aree:
- quadro economico macro e settoriale
- mercato di sbocco e concorrenza
- posizionamento del business nel mercato
- qualità del team manageriale
- complessiva storia aziendale.
Tali differenti aspetti devono trovare compiuta descrizione all’interno di una documentazione (generalmente definita business plan) la cui predisposizione richiede talvolta l’intervento di figure professionali non sempre presenti all’interno delle aziende, specie di piccole dimensioni.
Il business plan dev’essere in grado descrivere sobriamente il core business aziendale e proiettare nel futuro il progetto d’impresa in maniera credibile e convincente, evidenziando come il prestito possa determinare la crescita dell’attività non solo in termini di fatturato e di quote di mercato, ma anche di crescita e consolidamento della brand identity.
Conclusione
Abbiamo visto, dunque, come le regole per la valutazione del merito creditizio di un’impresa siano diventate sempre più stringenti in seguito alla crisi economica globale del 2008.
Per riassumere, il rating bancario riflette la “storia creditizia” dell’impresa, nonché una valutazione quantitativa e qualitativa delle attività della stessa.
In questo quadro di incertezze ancora persistenti, è importante che un imprenditore conosca approfonditamente i meccanismi che regolano i prestiti bancari alle imprese, gli elementi oggetto di valutazione e le parti coinvolte, in modo da aumentare le probabilità di ottenere nuove risorse per la propria imprese a un costo di finanziamento realmente sostenibile.